Negli anni il parametro Pixels Per Inch, meglio noto come PPI, è stato un denominatore comune nel valutare la qualità dei display degli smartphone. Tuttavia, negli ultimi tempi questo valore sembra essere progressivamente scomparso dai dati tecnici mostrati dai principali produttori. Scopriamo insieme il perché di questo cambiamento e come si è evoluto nel tempo il concetto di PPI.
Il PPI, consiste nel numero di pixel contenuti in un’area di un pollice quadrato e fu introdotto da Apple per indicare quando un display raggiungeva la qualità “Retina“. In quel periodo, agli albori degli smartphone, avere uno schermo con una risoluzione elevata e un rapporto pixel/pollice superiore ai 300 PPI era sinonimo di immagini nitide e dettagliate.
Questo parametro divenne poi un punto di riferimento nelle specifiche tecniche dei dispositivi, almeno fino a qualche anno fa. Oggi il contesto si è profondamente evoluto: la stragrande maggioranza degli smartphone monta pannelli OLED con risoluzioni di altissimo livello.
Proprio la diffusione degli OLED ha generato il primo problema nell’applicazione del concetto di PPI. A differenza degli LCD che impiegavano una matrice RBG standard, negli schermi organici i pixel non sono disposti in modo uniforme ma sono stati sviluppati particolari pattern di disposizione come ad esempio il Pentile di Samsung.
La tecnologia Pentile di Samsung è una famiglia di architetture di design dei subpixel. La struttura di base di Pentile è la matrice RGBG. Nei display Pentile RGBG ci sono solo due subpixel per pixel, con il doppio dei pixel verdi rispetto a quelli rossi e blu. Puoi vedere una matrice Pentile rispetto a una Real-Stripe nelle immagini qui sotto (Pentile è a sinistra):
La tecnologia Pentile è stata commercializzata da Clairvoyante. Nel marzo 2008, Samsung ha acquistato la proprietà intellettuale e la tecnologia correlata a PenTile dell’azienda e ha formato una nuova società chiamata Nuovoyance per continuare lo sviluppo di questa tecnologia display.
Ciò ha portato ad introdurre il concetto di “PPI equivalente”, che applica dei coefficienti di conversione in base al layout dei sub-pixel per fornire un valore approssimativo. In ogni caso, le moderne tecnologie OLED consentono risoluzioni molto elevate anche a parità di PPI con gli LCD.
Col passare degli anni poi le specifiche degli schermi sono aumentate in modo esponenziale. Se nel 2010 un display da 300 PPI rappresentava l’eccellenza, oggi la maggior parte dei top di gamma ha risoluzioni 2K o addirittura superiori, con un PPI che sfiora i 500 punti. In questo nuovo scenario, il PPI ha progressivamente perso rilevanza nel differenziare i prodotti.
Un altro fattore di obsolescenza del PPI è da ricondurre alle sue stesse origini: esso infatti deriva e trae significato da un contesto di dispositivi LCD. Ora che gli OLED hanno preso il sopravvento nella fascia medio-alta, l’assetto dei subpixel è talmente vario tra i vari produttori da non rendere il PPI uno strumento di paragone oggettivo.
I display OLED consumano anche meno energia e offrono un alto rapporto di contrasto e una elevata risoluzione. Particolarmente entusiasmante è il fatto che i display OLED vengono fabbricati su superfici trasparenti e flessibili. Ciò consente nuove forme, che a loro volta stimolano nuovi design di prodotti e nuove applicazioni.
La stessa tecnologia sta consentendo una nuova classe di dispositivi pieghevoli. Ciò che un tempo era solo frutto della fantasia, questi entusiasmanti dispositivi per i consumatori sono ricchi di funzionalità ma ultraleggeri e flessibili, con schermi senza cornice che ampliano lo spazio di visione.
In definitiva, la staffetta tecnologica che ha portato prima all’affermazione delle soluzioni OLED e successivamente all’elevazione esponenziale delle risoluzioni, ha reso secondario il PPI nel descrivere l’esperienza visiva di uno schermo. Oggi le specifiche che interessano maggiormente gli utenti sono la risoluzione, la frequenza di aggiornamento, i nit e soprattutto i nuovi standard HDR.
Ciononostante il PPI conserva ancora un suo significato come parametro “emotivo”, evocando i tempi in cui rappresentava quasi un miraggio arrivare a cifre così alte. Ed è per questo motivo che alcuni top di gamma, come gli ultimi iPhone 15, continuano a mostrarlo nelle specifiche tecniche.
In conclusione, si può affermare che l’evoluzione tecnologica dei display negli smartphone, segnatamente con il passaggio di consegne dai LCD agli OLED, ha progressivamente svuotato di senso il PPI come parametro di riferimento.
Un indice legato a doppio filo alle caratteristiche intrinseche dei pannelli del passato, e che oggi viene giustamente relegato a dato secondario rispetto ad altre specifiche ben più rappresentative della reale esperienza visiva con gli schermi contemporanei.