MIT ha appena pubblicato uno studio che accende i riflettori sul divario tra entusiasmo e realtà nell’adozione dell’intelligenza artificiale generativa nelle aziende. Il documento, frutto del lavoro del programma NANDA (Networked Agents and Decentralized AI), analizza più di 300 iniziative pubbliche, 150 interviste con dirigenti e 350 sondaggi tra professionisti aziendali. Il risultato riporta che il 95% dei progetti di AI generativa lanciati dalle aziende non arriva a produrre benefici concreti.

Nonostante una spesa globale stimata tra i 30 e i 40 miliardi di dollari, solo una minima parte di queste soluzioni riesce a passare dalla fase di test a quella operativa. Strumenti generalisti come ChatGPT e Copilot funzionano bene per compiti individuali, ma faticano a integrarsi nei flussi aziendali. Le piattaforme personalizzate, invece, spesso si arenano in fase pilota. E’ un avvertimento che sta per scoppiare una bolla AI ? No, tutto il contrario. Il mancato successo è il risultato di errori o strategie sbagliate nell’adozione dell’AI in azienda. Inoltre, NANDA stesso è un progetto MIT che aiuta le aziende ad implementare l’AI (gli agenti AI) nel loro flusso aziendale.
Report MIT: il vero problema è il learning gap
Secondo i ricercatori del MIT, il cuore del problema non risiede nella tecnologia in sé che viene reputata ad un buon livello. I modelli sono maturi, potenti e versatili. Il punto critico è un altro: la mancanza di capacità adattiva e contestuale delle soluzioni integrate in azienda. In pratica, molte aziende non riescono ad integrare l’AI nei flussi reali di lavoro.
Questo è ciò che gli autori del report chiamano learning gap. Troppi progetti vengono lanciati con aspettative elevate, ma senza un piano reale per adattare l’AI ai contesti operativi. Spesso si parte dal fascino del modello, senza una reale strategia di inserimento nei processi critici.
E mentre le aziende più grandi investono risorse interne sbagliando strategie, le startup più smart fanno l’opposto; identificano un problema concreto, si alleano con partner giusti e agiscono rapidamente. E infatti sono proprio queste a registrare casi di crescita veloce, passando da zero a decine di milioni di dollari di fatturato in pochi mesi.
Il mito della personalizzazione interna
Da report si evince che le soluzioni AI acquistate da fornitori specializzati hanno successo nel 67% dei casi, mentre quelle sviluppate internamente funzionano solo nel 33% dei progetti. Le aziende spesso credono di poter controllare meglio i processi costruendo in casa le proprie AI. Ma i dati dicono altro.
Questo accade perché lo sviluppo interno tende a isolare l’iniziativa, limitando la flessibilità e rallentando l’adozione. Invece, le partnership con aziende tech verticali portano a risultati più rapidi e concreti. Avere un progetto AI in azienda non basta. Serve che venga usato, migliorato, integrato ogni giorno da chi lavora sul campo. Altrimenti rimane una demo lucida, parcheggiata in qualche presentazione PowerPoint.
Budget sbilanciati e aspettative distorte
Lo studio mette in evidenza un altro errore comune: oltre il 50% dei budget AI viene speso su strumenti di marketing e vendite, ma il vero ROI arriva dalle automazioni back-office. Eliminare outsourcing, snellire la gestione documentale, velocizzare i contratti: questi sono gli ambiti dove l’intelligenza artificiale porta davvero vantaggi.
Tuttavia, molte aziende inseguono ancora la visibilità: chatbot pubblici, campagne “AI-powered”, demo interne per i consigli di amministrazione. Intanto i problemi reali restano invariati.
Il report sottolinea anche l’esplosione della cosiddetta shadow AI: strumenti non ufficiali, come ChatGPT, sono usati autonomamente dai dipendenti. Questo fenomeno riflette da un lato il bisogno concreto di efficienza, dall’altro la difficoltà e lentezza delle aziende nell’offrire soluzioni ufficiali e integrate.
Report MIT: dove si intravede il futuro
Nonostante il quadro poco incoraggiante, alcuni segnali positivi emergono. In settori come media e tecnologia, l’AI ha già portato a riorganizzazioni profonde. In questi ambiti si stanno sperimentando soluzioni più avanzate: agenti autonomi capaci di apprendere, ricordare e agire all’interno di regole aziendali precise.
Dopo la pubblicazione di questo report del MIT, in molti iniziano a parlare di bolla dell’AI. Ed è così che molti detrattori interpretano i dati: come la prova che l’intelligenza artificiale sia solo fumo negli occhi. Ma non è questo il messaggio che il MIT intendeva trasmettere. Lo studio — che, va sottolineato, si concentra esclusivamente sull’adozione aziendale dell’AI — invita a cambiare prospettiva: smettere di trattare l’intelligenza artificiale come un componente da aggiungere ai vecchi processi, e iniziare invece a progettare flussi completamente nuovi basati sulla collaborazione uomo-macchina.
Chi compirà per primo questa transizione si garantirà un vantaggio competitivo difficile da colmare. Il 95% di insuccessi è la conseguenza di una strategia sbagliata. Le aziende stanno imparando una lezione, per ottenere risultati con l’AI, serve meno hype e più integrazione reale. Chi sa unire competenze operative, flessibilità tecnologica e governance distribuita potrà fare il salto qualitativo.