Un team di ricercatori della Wharton School ha pubblicato un documento che sta scatenando un’ondata di preoccupazioni nell’alta finanza: “AI-Powered Trading, Algorithmic Collusion, and Price Efficiency“. Le intelligenze artificiali usate per il trading (i trading bot AI), anche le più semplici, imparano da sole a colludere. Non si parlano, non si accordano, eppure finiscono per fissare i prezzi e limitare la concorrenza come un vero cartello. Il tutto si sviluppa nel silenzio delle transazioni digitali, attraverso migliaia di interazioni che premiano chi non osa troppo.

Due sono i meccanismi chiave: il primo è la strategia price-trigger, dove i bot imparano a punire chi esagera, facendo crollare i suoi profitti nel round successivo. Il secondo è l’“artificial stupidity”, una distorsione dell’apprendimento che porta gli algoritmi a evitare strategie rischiose, anche quando potrebbero funzionare. In entrambi i casi questo significa più margini per i bot AI e meno trasparenza per il mercato.
Il problema non sta solo nel comportamento delle macchine, ma nel contesto in cui operano. Quando il mercato è calmo, cioè ci sono poche fluttuazioni casuali nei prezzi, molti investitori comprano o vendono senza guardare i fondamentali, il prezzo diventa un segnale preciso. In questi contesti, la collaborazione nascosta tra le intelligenze artificiali diventa più forte e duratura. E’ sufficiente che gli algoritmi imparino a ripetere ciò che fa guadagnare di più, basandosi su dati regolari e prevedibili.
Trading AI : le due vie della collusione automatica
Non tutte le intelligenze artificiali colludono allo stesso modo. La ricerca Wharton evidenzia due sentieri opposti. Il primo è la cosiddetta intelligenza strategica: in mercati stabili, dove i prezzi cambiano poco e molte persone comprano o vendono seguendo abitudini o regole fisse senza guardare il valore reale di ciò che stanno trattando (fondamentali), gli algoritmi imparano a usare il prezzo come una specie di segnale per capire come comportarsi insieme. Quando molti vendono velocemente per cercare più guadagni, i bot reagiscono spingendo i prezzi in una direzione che lo penalizza. In pratica, il sistema li “punisce” rendendo le loro azioni meno redditizie. Questo meccanismo si autoalimenta e porta a un equilibrio tacito, dove nessuno rompe le regole non scritte.
Il secondo meccanismo è più subdolo. Quando il mercato è molto confuso e i prezzi cambiano in modo imprevedibile, gli algoritmi non riescono a capire bene quali azioni funzionano davvero. In queste situazioni, diventano più prudenti. Se provano a fare mosse rischiose e perdono soldi, imparano a evitarle del tutto. Al contrario, anche se una mossa coraggiosa porta guadagni, il sistema tende a ridimensionare quel successo nel tempo. Questo porta le intelligenze artificiali a comportarsi in modo sempre più cauto. Non è che decidano di mettersi d’accordo; semplicemente, si convincono da sole che è meglio esserre cauti.

Questa seconda forma di collusione è ancora più difficile da riconoscere. Non ci sono segnali evidenti, ma l’effetto è lo stesso: prezzi meno informativi, liquidità ridotta, profitti concentrati.
I parametri nascosti che facilitano il cartello invisibile
Cosa porta un algoritmo a comportarsi come se si mettesse d’accordo con altri algoritmi ? Non è solo una questione di programmazione. I ricercatori hanno scoperto che ci sono due elementi nel mercato che favoriscono questo comportamento. Il primo è quando ci sono molte persone o sistemi che comprano e vendono senza badare alle notizie economiche o al valore reale di ciò che scambiano. Il secondo elemento è il cosiddetto “rumore di mercato“, ovvero variazioni casuali dei prezzi. Quando il primo elemento è molto presente e il secondo è minimo, gli algoritmi riescono a capire cosa stanno facendo gli altri semplicemente osservando l’andamento dei prezzi. Così iniziano a comportarsi in modo coordinato per ottenere più guadagni.
Se invece il mercato è molto caotico e i prezzi cambiano spesso senza un motivo chiaro, allora i bot non riescono più a leggere i segnali nel prezzo. In queste condizioni, iniziano a fare errori nel loro apprendimento: evitano le strategie più rischiose anche quando potrebbero funzionare, perché associano i brutti risultati a quelle azioni. Così finiscono per diventare tutti più prudenti, e questo porta comunque a comportamenti simili alla collaborazione.
I test mostrano che, in uno scenario in cui ci sono tanti operatori che non guardano i dati reali e il mercato è poco rumoroso, ogni fondo basato su algoritmi riesce a guadagnare in media 54 unità per periodo, mentre gli altri ne perdono il doppio, 108. Se il mercato diventa più rumoroso, i guadagni dei bot non cambiano, ma le perdite si spostano su altri operatori. E se il numero di investitori “distratti” diminuisce molto, l’unica forma di collusione che rimane è quella basata sugli errori di apprendimento. Il risultato finale è che più il mercato è confuso, più gli algoritmi diventano cauti; e così facendo, finiscono comunque per guadagnare di più.
Le implicazioni economiche dell’AI collusiva nel trading
Le leggi antitrust si basano su prove di comunicazione e accordi. Ma qui non c’è nulla del genere. Gli algoritmi imparano a cooperare senza sapere di farlo. Non si scambiano segnali, non si osservano direttamente. Eppure, il risultato finale è un comportamento coordinato, dannoso per chi compra o vende secondo logiche tradizionali.
Dal punto di vista legale, è un problema spinoso. Se non c’è volontà, non c’è colpa? I regolatori si trovano in un vicolo cieco: i codici sembrano innocenti, ma gli esiti sono da cartello. Servono nuove categorie giuridiche, nuove metriche di sorveglianza. Le autorità non possono più affidarsi ai vecchi strumenti. Non si tratta più di controllare chi chiama chi, ma di capire cosa imparano le macchine.
La ricerca Wharton dimostra che alcuni mercati già adottano sistemi di AI per eseguire ordini. I fondi quantitativi stanno testando modelli di reinforcement learning. Le condizioni per la collusione dei bot AI ci sono già tutte. E il rischio è che, senza controllo, l’infrastruttura finanziaria si adatti a una nuova forma di competizione: quella tra trading bot che non competono.
Uno sguardo sul futuro: algoritmi, regole e scelte collettive
Il quadro che emerge è quello di un mercato che cambia pelle, sotto i nostri occhi. Gli algoritmi AI nel trading amplificano le strategie più redditizie nel breve periodo. Se queste strategie coincidono con il collaborare senza competere, allora la concorrenza tende a scomparire. Questo non porta necessariamente a un blocco totale degli scambi, ma può causare una sorta di stagnazione dei prezzi: meno variazioni, meno reazioni veloci, più comportamenti ripetitivi. In pratica, il mercato può finire in una fase in cui si muove poco, dove la compravendita continua ma senza veri spunti di crescita o ribasso. È ciò che, in gergo, viene chiamato laterizzazione.
Serve un ripensamento profondo delle regole. In un mondo in cui le decisioni vengono prese da modelli auto-apprendenti, il primo dovere è capire cosa imparano. E perché. Il rischio è che le macchine trovino da sole la via più facile: allearsi, senza dircelo.