I dispositivi indossabili per il monitoraggio dell’attività fisica come gli Smartwatch sono diventati una presenza quotidiana; si trovano al polso di chi corre, di chi cammina, persino di chi lavora alla scrivania. Dai semplici contapassi ai modelli più avanzati in grado di rilevare la saturazione di ossigeno nel sangue, l’interesse per queste tecnologie ha raggiunto una diffusione globale e trasversale.

Non sono più un accessorio per sportivi professionisti; attirano chi desidera migliorare la forma fisica, tenere sotto controllo la salute cardiaca o semplicemente contare i propri passi quotidiani o la distanza percorsa. Tuttavia, dietro all’entusiasmo collettivo si nasconde una questione meno visibile ma fondamentale; fino a che punto ci si può fidare dei dati forniti da questi strumenti ?
Il confine tra reale innovazione tecnologica e strategie di marketing persuasive appare spesso sfocato; molti si affidano ai wearable come se fossero dispositivi medici certificati, senza interrogarsi sulla qualità e sulla validità dei parametri misurati.
Un recente studio condotto da Indiana University (Bloomington, Indiana) e Pepperdine University (Malibu, California) ha analizzato in dettaglio proprio tale ambiguità e ha investigato sulla reale efficacia degli smartwatch nell’elaborazione di dati fondamentali per la salute e la performance. Obiettivo dello studio è offrire uno sguardo critico e approfondito su questi dispositivi.
Precisione nella misurazione del VO2max e della saturazione d’ossigeno
Uno degli indicatori più pubblicizzati nei dispositivi di fascia alta è la stima del VO2max; questo valore indica la quantità massima di ossigeno consumata durante esercizi intensi. Il VO2max è un parametro centrale per valutare la capacità aerobica e la forma fisica generale. In ambito clinico e sportivo, viene misurato attraverso test specifici da laboratorio; l’utilizzo di spirometri e analisi dei gas espirati consente un’accuratezza elevata. I dispositivi indossabili, al contrario, ricorrono a metodi indiretti; combinano i dati GPS con la frequenza cardiaca e li elaborano con algoritmi chiusi e spesso non documentati.

Il problema principale riguarda l’errore: i risultati degli studi mostrano una media superiore al 10% di scostamento rispetto ai dati di laboratorio; un margine troppo ampio per utilizzi professionali o clinici. Questo margine di errore compromette l’affidabilità individuale dei dati; per esempio, due persone con lo stesso stato di forma possono ricevere risultati molto diversi. Nel contesto di un piano di allenamento personalizzato, le variazioni possono rendere il dato fuorviante. Non è raro che un dispositivo sopravvaluti il VO2max in un test, per poi sottostimarlo nel giorno successivo.
Anche la misurazione della saturazione dell’ossigeno (SpO2), un parametro molto promosso nei dispositivi recenti, secondo i risultati ha presentato criticità. Questa funzione, utile teoricamente per individuare problemi respiratori notturni o segnali precoci di apnea, è fortemente influenzata da fattori ambientali e comportamentali.
I dispositivi come Apple Watch o Garmin forniscono risultati accettabili solo in condizioni ideali; cioè quando il braccio è fermo, la pelle è asciutta e la luce ambientale è stabile e non troppo forte. Basta un piccolo movimento o un’illuminazione intensa per alterare il dato SpO2.
Calcolo delle calorie negli smartwatch
Molti acquistano uno smartwatch per sapere quante calorie bruciano ogni giorno; desiderano ottenere un quadro realistico del proprio dispendio energetico. In teoria, il dispositivo dovrebbe combinare parametri come la frequenza cardiaca, l’accelerazione dei movimenti, il peso corporeo e il sesso. Questa integrazione dovrebbe fornire una stima coerente del consumo calorico quotidiano. Tuttavia, in pratica, i margini di errore sono rilevanti; l’errore può facilmente superare il 25%, come confermato dai risultati di ricerca su un Apple Watch.

Questo divario tra valore stimato e reale diventa ancora più problematico per chi cerca di perdere peso o seguire diete ipocaloriche controllate. Una sovrastima delle calorie bruciate può portare a mangiare più del necessario; una sottostima, al contrario, può indurre a restrizioni inutili o eccessive.
L’assenza di trasparenza negli algoritmi rende ancora più difficile interpretare i dati in modo corretto. Il numero mostrato sullo schermo è netto o lordo? Include o meno il metabolismo basale, cioè le calorie consumate a riposo ? Questa ambiguità è un problema. Molto spesso, il valore indicato appare come un numero assoluto; ma senza indicazioni chiare e l’informazione rischia di essere fraintesa.
Una delle criticità maggiori è la variabilità individuale. Due persone dello stesso sesso, con identica massa corporea, possono avere differenze sostanziali nel metabolismo. Fattori come la composizione corporea, lo stato ormonale e il livello di allenamento influenzano notevolmente il consumo energetico; ma raramente vengono considerati dai wearable. Questo porta a stime approssimative.
Frequenza cardiaca e variabilità del battito
Il monitoraggio della frequenza cardiaca tramite fotopletismografia (PPG) è uno degli elementi più diffusi e pubblicizzati nei dispositivi indossabili. Questa tecnologia utilizza la luce per rilevare le variazioni nel flusso sanguigno, traducendole in battiti per minuto. Quando si è a riposo, i risultati sono spesso accettabili; in condizioni statiche, il margine d’errore è contenuto. Tuttavia, durante l’attività fisica intensa, l’affidabilità dei dati può peggiorare in modo marcato.

Fattori come la presenza di sudore, la pigmentazione della pelle, il movimento del polso o una posizione imprecisa del sensore possono influenzare pesantemente la qualità del segnale. I dispositivi dotati di fascia toracica, che utilizzano elettrodi per rilevare l’attività elettrica del cuore, continuano a essere lo standard di riferimento per precisione. Nonostante siano meno comodi, offrono dati più accurati; soprattutto in ambito sportivo e clinico.
La variabilità della frequenza cardiaca (HRV) è un altro parametro importante, utilizzato per valutare il livello di stress, il recupero fisico o la qualità del sonno. Per essere realmente attendibile, la misurazione richiede condizioni precise; serve un periodo di almeno cinque minuti a riposo completo. Molti dispositivi, invece, raccolgono dati per periodi troppo brevi o lo fanno in momenti poco adatti; per esempio, quando ci si muove involontariamente o il corpo è già agitato per vari motivi. In queste condizioni, la misurazione diventa instabile e poco attendibile, perché il sistema non riesce a distinguere tra segnali fisiologici utili e rumore di fondo interno, inteso come stress, variazioni ormonali o agitazione mentale.
Il risultato finale della misurazione HRV, quindi, può risultare incompleto o fuorviante. Per ottenere un valore significativo occorrerebbe un algoritmo capace di adattarsi al profilo personale dell’individuo; la maggior parte dei dispositivi, però, si basa su modelli standardizzati.
Carico di allenamento, stress
Il concetto di carico di allenamento nasce dall’esigenza di quantificare l’impatto fisiologico di una sessione sportiva. Esso si basa sull’integrazione di parametri eterogenei; tra i più comuni troviamo la frequenza cardiaca, la durata dell’esercizio, l’intensità percepita e la valutazione soggettiva dello sforzo. I dispositivi indossabili cercano di raccogliere e sintetizzare queste informazioni in un singolo valore numerico o in un grafico semplificato; l’obiettivo è offrire un quadro immediato dello sforzo sostenuto. Tuttavia, l’approssimazione insita in questo processo può spesso superare il valore informativo effettivo.

Le formule impiegate per calcolare il carico di allenamento negli smartwatch sono raramente rese pubbliche. La loro opacità rende difficile valutare l’attendibilità dei risultati. Inoltre, molte non tengono conto della variabilità interindividuale. Un carico che per una persona ben allenata rappresenta uno stimolo utile può risultare eccessivamente stressante per un principiante. Il rischio è quello di generare consigli inadatti al profilo fisico reale.
Smartwatch e monitoraggio del sonno
Anche il monitoraggio del sonno mostra limiti simili. Il gold standard in ambito clinico resta la polisonnografia; questa tecnica prevede l’applicazione di elettrodi e la presenza di personale specializzato. I dispositivi indossabili, al contrario, stimano le fasi del sonno utilizzando sensori di movimento e rilevazioni del battito cardiaco. Tale metodo semplificato introduce un elevato margine d’errore; secondo questa ricerca, molti dispositivi faticano a distinguere la veglia silenziosa dal sonno leggero.

Solo una minoranza di wearable attualmente in commercio ha superato studi di validazione clinica rigorosa, tra questi Empatica Embrace2, Withings ScanWatch, CardiacSense CSF-3 e Verily Study Watch, tutti approvati dalla FDA.
La maggior parte dei prodotti più commerciali si limita a offrire stime approssimative; queste possono risultare fuorvianti, soprattutto se usate per modificare abitudini di vita o adottare strategie di recupero. La raccolta passiva dei dati, se non accompagnata da una corretta interpretazione, rischia di generare più confusione che chiarezza.
Smartwatch per il fitness: conclusione
I dati raccolti dagli smartwatch per il fitness possono servire come riferimento di massima, ma non devono sostituire strumenti clinici o valutazioni da parte di professionisti. La qualità dei dati dipende da molte variabili; trasparenza degli algoritmi, posizione del sensore, tipo di hardware, condizioni ambientali.
Inoltre, l’assenza di trasparenza nei modelli predittivi utilizzati dai produttori rappresenta un limite critico. Gli algoritmi non sono pubblici e pochi sono stati validati da studi scientifici indipendenti. Non esistono standard condivisi per la misurazione di molti parametri. Questo comporta una notevole variabilità tra un dispositivo e l’altro; anche tra versioni diverse dello stesso brand.
Per queste ragioni, i wearable risultano utili per un automonitoraggio consapevole, ma meno indicati per un impiego terapeutico o sportivo avanzato. Chi si affida esclusivamente a questi strumenti per guidare l’allenamento o modificare abitudini di vita può incorrere in errori. È fondamentale ricordare che un dato errato, se interpretato come oggettivo, può diventare una base fragile per decisioni importanti.
Serve una maggiore sinergia tra ricerca scientifica, aziende tecnologiche e istituzioni sanitarie. Le aziende stanno lavorando per migliorare l’affidabilità dei dati, ma fino a quando gli algoritmi resteranno opachi, l’interpretazione rimarrà problematica. Senza questi sforzi congiunti, il rischio è che i dispositivi restino accessori di tendenza più che strumenti affidabili al servizio del benessere individuale.